Siti archeologici in Calabria
Le grotte paleolitiche, Parchi e siti archeologici della Calabria
Il Patrimonio archeologico della Calabria, ricopre nel sistema dei Beni Culturali, una posizione privilegiata, dovuta alla grande rilevanza storica dei siti messi in luce nell’ultimo secolo. Dal sito paleolitico della Grotta del Romito alle diverse aree archeologiche del periodo greco-romano. Con 4 grandi Parchi e diversi siti archeologici la Calabria vanta un Patrimonio archeologico da scoprire.
Parco Archeologico di Capo Colonna
Dieci chilometri più a sud della città di Crotone, sul promontorio di Capo Colonna, dove ieri insisteva il grande Heraion Lakinion, oggi sorge il Parco Archeologico omonimo realizzato dalla Sovrintendenza per i Beni Archeologici della Calabria.
Il Parco si estende lungo 30 ettari di terreno adibito a scavi, e altri 20 ettari adibiti a bosco e macchia mediterranea. Tra le aree sacre più note dell’intero bacino del Mediterraneo, il celebre Heraion Lakinion ruotava attorno al maestoso santuario dedicato alla dea Hera Lacinia. L’ingresso del Parco è costituito dal nuovo Museo Archeologico, struttura a tre padiglioni incassati nel terreno per ridurre l’impatto ambientale, che raccoglie i reperti rinvenuti nell’area di scavo antistante.
Un lungo viale alberato, immerso nella lussureggiante macchia meditarranea conduce alle prime evidenze del Parco Archeologico. Terminato il viale, appare la cinta muraria del VI secolo a.C. rinforzata più tardi dai romani e di cui è ben visibile l’opus reticolatum.
L’AREA SACRA. Varcando l’ingresso della Via Sacra, larga 8,5 metri e rinvenuta in parte nel 1987, si entra nell’area del santuario di Hera Lacinia, ben protetta dall’ampia cortina muraria rinforzata a nord e a sud da due torri esterne. La zona sacra si articola in due aree orientate ad est, ed attraversate dalla solenne Via Sacra.
Allineato verso il lato nord si trova il Katagogion, albergo per i pellegrini privilegiati, dotato di un peristilio con colonne stuccate e capitelli di ordine dorico della seconda metà del IV secolo a.C. Sempre di questo periodo è l’Hestiatorion, edificio per i banchetti, posto lungo il lato sud del tracciato. I due edifici non sono ancora completamente indagati.
LA COLONNA DEL TEMPIO DI HERA. Di fronte l’ingresso della Via Sacra, sul lato est del promontorio di Capo Colonna è situato il tempio di Hera Lacinia, fiore all’occhiello dell’intero Parco Archeologico. In stile dorico con pianta rettangolare di 6×19 colonne, risale al V secolo a.C. Oggi del maestoso tempio rimane una sola colonna superstite con stilobate, in stile dorico alta 8,5 metri con 20 scanalature piatte, ed il poderoso basamento composto su 10 livelli di blocchi squadrati. Di fianco il tempio sono state individuate le fondamenta di un grosso edificio denominato B con pianta rettangolare di 22×9 metri.
LE EVIDENZE ROMANE. Nell’area esterna al santuario, ma sempre all’interno del Parco Archeologico, sono stati scavati diversi ambienti domestici, che fanno pensare agli alloggi dei sacerdoti, un balneum termale di epoca romana, ed una villa romana entrambi del III secolo d.C.
I cospicui oggetti rinvenuti durante gli scavi nel Parco Archeologico sono divisi tra i diversi musei della città di Crotone. Gli ultimi rinvenimenti si trovano nel nuovo e adiacente Museo di Capo Colonna, mentre qualcosa di epoca precoloniale viene esposta nell’Antiquarium di Torre Nao, ubicato all’interno del Parco Archeologico. Nel più attrezzato Museo Archeologico Nazionale di Crotone sono sistemati i primi reperti di età arcaica e sopratutto il prezioso Tesoro di Hera.
Grotta del Romito
Sito archeologico di assoluto rilievo, risalente al Paleolitico superiore, la Grotta del Romito contiene evidenti e abbondanti tracce di frequentazione umana, nonché tra le maggiori testimonianze dell’arte preistorica in Italia, tra le più antiche d’Europa.
Il sito si trova in località Nuppolara in agro del Comune di Papasidero, a 296 metri di quota tra gli anfratti della scoscesa Valle del Lao. L’area archeologica ricade nella superficie del grande Parco Nazionale del Pollino, venne individuata nel 1961 regalando preziose informazioni circa la vita preistorica dell’homo sapiens. All’interno della Grotta del Romito, scavata nella roccia calcarea per 20 metri di profondità, è stato rinvenuto nel 1961 un graffito raffigurante due bovidi (Bos primigenius) che gli esperti di paleontologia fanno risalire al Paleolitico superiore, circa 16 mila anni fa.
I DUE GRAFFITI. Il graffito, inciso su un masso di 2,30 metri di lunghezza ed inclinato di 45°, mostra la figura di un toro preistorico lungo circa 1,20 metri, disegnato con tratto forte e sicuro. Le corna, viste ambedue di lato, sono proiettate in avanti e hanno il profilo chiuso. Sono rappresentate con cura alcuni particolari del primo bovide come le narici, la bocca, l’occhio appena accennato, l’orecchio. Nello stesso graffito, al di sotto della grande figura di toro vi è incisa, in maniera più sottile, un’altra figura di bovide di cui sono eseguiti soltanto il petto, la testa e una parte della schiena.
All’interno della Grotta del Romito, di fronte al masso con i 2 bovidi ve ne è un altro di circa 3,50 metri di lunghezza, con segni lineari incisi di significato apparentemente incomprensibile, ma di chiara mano umana. Le meraviglie del Romito non finiscono ai graffiti impressi nella roccia calcarea.
IL SITO ARCHEOLOGICO. Il sito archeologico è infatti diviso in due distinte aree : la Grotta vera e propria contenente i graffiti del Paleolitico superiore che si addentra nella formazione calcarea con un cunicolo stretto e oscuro; e il Riparo che si estende per circa 34 metri in direzione est-ovest a monte della grotta. Nell’area di scavo sono state rinvenute in totale 4 sepolture distinte, 3 di queste sono datate tra i 9.000 e 10.000 mila anni a.C. Ma la quarta, scoperta di recente è datata a 16.000 anni fa. Ogni sepoltura presenta una coppia di scheletri disposti secondo un rituale ben definito. Nell’area del Riparo sono state rinvenute tracce di La frequentazione neolitica consistenti in una cinquantina di cocci di ceramica che rivelano l’esistenza di un commercio della ossidiana proveniente dalle isole Eolie. Tali reperti sono datati intorno al 4.450 anni a.C.
L’importanza del sito di Papasidero a livello europeo è legata all’abbondanza di reperti paleolitici, che coprono un arco temporale compreso tra 23.000 e 10.000 anni fa, ed hanno consentito la ricostruzione delle abitudini alimentari, della vita sociale e dell’ambiente dell’ Homo sapiens. Il sito è visitabile grazie alla realizzazione di passerelle e impianti di illuminazione adeguati alla circostanza.
Parco Archeologico di Scolacium
Nel 1982 l’area a sud di Catanzaro Lido, che corre parallela lungo il percorso della Strada Statale 106 Ionica, venne espropriata dallo Stato per istituirvi il Parco Archeologico di Scolacium e l’annesso Antiquarium di Roccelletta.
Infatti l’area in questione, oltre ad essere interessata dalla presenza dei resti della Basilica Normanna, ha portato in evidenza i resti considerevoli della antica colonia romana di Scolacium, costruita nel 120 a.C. sopra i ruderi della colonia greca di Skylletion. Dagli scavi iniziati nel 1965 non sono emerse strutture murarie della città greca, ma l’affioramento su tutta l’area del Parco Archeologico di abbondante materiale ceramico e monetale del VI secolo a.C. farebbe pensare alla sovrapposizione topografica delle due città.
All’ingresso del Parco Archeologico di Scolacium sono presenti i resti della imponente Basilica Normanna del XI secolo d.C. consacrata a Santa Maria della Roccella, e di cui oggi si ammirano le mura esterne e le absidi decorate con accorgimenti arabo-bizantini. Proseguendo sulla destra si arriva al museo Antiquarium di Roccelletta, dove è esposto il materiale rinvenuto dai continui scavi del Parco Archeologico.
Molto più consistenti invece, sono i resti murari della città di Scolacium, un itinerario con pannelli esplicativi, guida il visitatore alla scoperta della colonia romana. Verso mare si trova il foro romano, grande area rettangolare pavimentata con mattoni quadrati e circondata da portici. Ai margini della piazza sono già stati scavati un Caesareum, la Curia e un’aula termale. All’interno dell’area forense sono visibili un tempietto, una fontana monumentale e un tribunal.
Da questa zona proviene un gran numero di statue e ritratti che coprono un periodo compreso tra il I ed il III secolo d.C. esposti nell’antiquarium. Oltre il foro, appoggiato sulla collina, sorge il Teatro di Scolacium costruito in due fasi edilizie tra il I ed il II secolo d.C. Il teatro, costruito alla maniera greca a ridosso di una collina, aveva una capienza di 3.500 spettatori, ma doveva essere anche un centro di riunioni o comunque un edificio pubblico della Scolacium romana.
Dalla scena del teatro, provengono tre teste ritratto, una di età giulio-claudia, una di età flavia e riferiti ad aristocratici della città. Sempre dalla scena provengono due grandi statue in marmo bianco di togati, anch’esse esposte nell’Antiquarium di Roccelletta.
Gli scavi del Parco Archeologico di Scolacium riportano alla luce ogni giorno nuovi impianti dell’antica colonia romana di Scolacium, mentre restano pochi e forse irrecuperabili i resti dell’antica Skylletion. Sopra la collina, le ricerche preliminari hanno già individuato un anfiteatro del II secolo d.C. tre impianti termali, una necropoli e l’acquedotto, a completamento dell’antica Scolacium.
Il Parco Archeologico di Locri Epizefiri
Il Parco Archeologico di Locri Epizefiri si trova a circa 4 Km a sud in direzione Reggio Calabria dall’odierno centro abitato di Locri. L’ingresso, costituito dal nuovo Museo Archeologico Nazionale di Locri Epizefiri, è direttamente accessibile dalla SS 106 Ionica.
Il Parco protegge una vasta area in contrada Marasà in cui è stata individuata l’antica colonia locrese di Lokroi Epizephirioi. Dietro l’edificio museale prende avvio un primo percorso che, fiancheggiando il tratto di fortificazioni che cingeva la città antica verso Est, permette la fruizione del settore extraurbano occupato dalle aree sacre di Zeus Saettante e Demetra Tesmophoros, ricadenti nella contrada Parapezza, sino a raggiungere il primo Santuario di Afrodite posto in contrada Marasà, con i resti del tempio ionico.
Un secondo percorso parte sempre alle spalle del Museo Archeologico e costeggia le mura parallele alla linea di costa, in corrispondenza dell’antico bacino portuale, e conduce all’altra area sacra ad Afrodite, quella extramuranea di Marasà Sud.
Lo scavo di Centocamere è raggiungibile anche riprendendo dal piazzale del Museo Archeologico la SS 106 Ionica per circa 200 metri sino allo sbocco di una stradella campestre che corrisponde forse ad un percorso antico che metteva in comunicazione l’area collinare alla spiaggia.
A tale stradella si innesta, in corrispondenza dello scavo di Marasà Sud, il percorso che arriva dal Museo, e dà inizio al quarto percorso, che immette nel cuore della città romana, dove l’ottocentesco Casino Macrì, parzialmente edificato su un monumentale edificio termale, è destinato a diventare una nuova sede museale.
La stradella a monte sfocia nel Dromo, anch’esso corrispondente ad un asse viario antico, che conduce ad altre aree archeologiche esterne al Parco. Verso Est si giunge alla contrada Pirettina, raggiungibile anche dal Museo percorrendo la strada che dalla SS 106 conduce verso monte. In quest’area sono visitabili i resti monumentali del Teatro di Locri Epizefiri, e la teca che conteneva le famose tabelle bronzee del santuario di Zeus Olimpio.
Parco Archeologico di Sibari
Il Parco Archeologico di Sibari si estende per 168 ettari e si trova al km 25 della strada statale 106 Ionica che l’attraversa tutto in direzione nord-sud.
L’area archeologica si trova sulla riva sinistra del fiume Crati, sotto il livello della faglia acquifera creando grossi problemi dovuti alle infiltrazioni d’acqua che vengono trattate con un complesso sistema a pompe capace di drenare l’acqua ristagna. L’area del Parco Archeologico è interessata dalla sovrapposizione delle tre città susseguitesi: la Sybaris arcaica, Thourioi ricostruita dagli ateniesi nel V secolo a.C. e la romana Copia.
Gli scavi hanno fin ora messo in luce la fase romana della città di Copia più superficiale e consistente. Nella zona denominata Parco del Cavallo, indagata sin dal 1932, è emersa una grande Plateia (strada) lunga 350 metri e larga 13, con direzione nord-sud, e provvista di canalizzazioni laterali, che ne incrocia un’altra in direzione est-ovest larga 7 metri.
Sull’angolo nord-est di tale incrocio sono visibili i resti del teatro romano del I secolo d.C. mentre sugli altri angoli si trovano le terme e le tabernae sempre di epoca romana. Dietro il teatro è stata individuata una grande villa urbana, la domus con pavimenti a mosaico. Da quest’area proviene il recente Toro Cozzante di Thourioi, bronzo del V secolo a.C. esposto nel Museo Archeologico della Sibaritide.
Cinquecento metri più ad est del Parco del Cavallo, andando verso il mare di Sibari, si trova la nuova zona di scavi, interessata dal cosiddetto “scalo di alaggio”, cioè uno scalo sul mare adibito alla riparazione e manutenzione delle imbarcazioni, funzione che tenne dal IV al I a.C. Sono emerse altresì resti del grande muro in conglomerato con blocchi di reimpiego relativi al circuito difensivo della città, riferibile certamente alla romana Copia.
Sempre nel Parco del Cavallo, all’interno del Parco Archeologico di Sibari, è stato rinvenuto un intero quartiere artigianale della Sybaris arcaica denominato Parco dei Tori. Il rinvenimento di pozzi e fornaci fa pensare ad una destinazione produttiva di questo quartiere periferico della antica colonia achea, abbondanti sono i materiali ceramici databili tra il VII e VI secolo a.C, mentre i 4 metri di strato alluvionale che ricoprivano il quartiere ha fatto subito pensare alla distruzione del 510 a.C. operata dai crotoniati deviando il corso del fiume Sybaris, l’odierno Coscile.
Sito Archeologico di Casignana
Situata tra i comuni di Bovalino e Bianco nella provincia di Reggio Calabria l’area archeologica di Casignana venne indagata con sistematicità a partire dal 1980, quando si misero in evidenza le strutture di una grande domus romana privata risalente al I secolo d.C.
Fino ad oggi sono stati indagati oltre 1.300 metri quadrati dell’enorme struttura contenente il più vasto repertorio di mosaici policromi noto in Calabria. Le parti architettoniche già portate in luce sono pertinenti agli impianti termali della “pars urbana”, il cui carattere privato si desume anche dalla particolare involuzione del percorso, il contrario di quanto accadeva nei bagni pubblici. Gli archeologi hanno finora individuato quattro grandi fasi costruttive della domus.
Quella attualmente visibile è l’ultima del IV d.C. caratterizzata dal gusto per piante centrali con forme curvilinee, alla quale si riferiscono tutti i mosaici policromi rinvenuti, tranne quello figurato con thiasos marino risalente invece al III d.C. e composto di quattro figure femminili che cavalcano quattro animali mostruosi (cavallo, toro, tigre e leone) tutti con coda di pesce.
Il polo della complessa planimetria della domus sembra essere costituito da un grande ambiente ottagono riscaldato, con pavimento mosaicato a piccole tessere, provvisto di ipocausto e tubuli fittili nelle pareti, in cui si può riconoscere il caldarium. La grande domus romana è rifinita con vasche e mosaici, notevole quello con il frammento di un pavone, che ne segnano l’architettura.
Nel grande salone rettangolare e in due ambienti riscaldati si fa uso dell’opus sectile, un’elegante e preziosa tecnica che utilizza lastre in marmo, per il pavimento e per la parte bassa delle pareti. Nei pressi della domus sorge un grande ninfeo, con vasca absidata e relativo serbatoio d’acqua.
Nel corso del tempo gli scavi presso l’area archeologica di Casignana sono stati estesi ad altri 4.000 mq di superficie, che va ben oltre la domus romana, e che portano l’intera area interessata agli scavi a circa 15 ettari. La domus romana di Casignana resta oggi la struttura con il più vasto repertorio di mosaici policrami mai rinvenuto in Calabria.
Sito Archeologico di Castiglione di Paludi
Un disteso insediamento umano del IV a.C. riferito quasi certamente ad una città brettia, è stato indagato sulla collina delimitata dai torrenti Coseria e Scarmaci, nell’area archeologica di Castiglione di Paludi.
Sul pianoro antistante l’abitato, erano già state scavate 50 sepolture del IX a.C. corredate da armi, lance in ferro e bronzo, fibule, lamine decorate ed altri oggetti. L’area di Castiglione di Paludi potrebbe nascondere l’antica città enotra di Cossa, nei pressi della quale, più tardi, i brettii edificarono una loro città. Una città di Enotria, nota col nome di Cossa, compare in un frammento di Ecateo di Mileto del VI a.C. e più tardi Giulio Cesare nel De Bello Civili, menziona una città di nome Cossa nel territorio di Thourioi.
Il nome dell’attuale torrente Coseria, nei pressi di Castiglione di Paludi, sembra costituire un ulteriore indizio per l’identificazione dell’antica città enotria di Cossa. Se l’area archeologica di Castiglione di Paludi conserva poche testimonianze dell’antica città di Cossa, della città brettia rimangono invece notevoli resti, primi tra tutti quelli delle mura, costruite in blocchi squadrati di arenaria disposti a secco, alcune scalette interne conducevano sugli spalti.
Sul lato orientale era la porta fortificata, a corte rettangolare, difesa da due torri a pianta circolare alte due piani. All’interno, una strada collegava la porta principale al cosiddetto teatro, edificio a pianta semicircolare addossato a un pendio naturale, che poteva accogliere 200 persone circa. Più verisimilmente si tratta di un luogo per le riunioni dell’assemblea pubblica databile intorno al IV secolo a.C.
Sempre all’interno della cinta muraria, oltre a una cisterna sono stati rinvenuti i resti di alcune abitazioni, distinguibili in due fasi per la tecnica costruttiva. Il ritrovamento all’esterno della porta di un deposito di terrecotte votive di tipo femminile, testimonia l’esistenza di un piccolo luogo di culto, forese attivo già con la città di Cossa.
Tra i materiali rinvenuti tra gli scavi dell’area archeologica di Castiglione di Paludi, si segnalano per importanza un volto maschile in arenaria locale e alcuni modellini fittili di templi, e delle tegole siglete “vereia” che attestano l’attività di una istituzione pubblica deputata alla produzione in scala di laterizi.
Sito Archeologico di Francavilla Marittima
A circa 14 chilometri di distanza dall’antica Sybaris in direzione nord-ovest, si trova un terrazzamento naturale, denominato Timpone della Motta che sovrasta la sottostante piana.
Il sito, ricadente nel comune di Francavilla Marittima, è di fatto estremamente interessante in quanto uno dei più importanti insediamenti indigeni precoloniali, fondato dagli enotri. La ricca necropoli annessa in località Macchiabate ha supplito alla scarsità delle notizie storiche relative al villaggio enotro, con i cospicui rinvenimenti archeologici.
L’antico villaggio è stato individuato in località Timpone della Motta, da cui è emersa una frequentazione del sito sin dall’epoca del Bronzo tra il XIII e il X secolo a.C. e di un secondo abitato relativo al VIII secolo a.C.
Tra questi rinvenimenti spiccano per importanza un ex-voto in terracotta del VII sec. a.C. raffigurante una figura femminile con veste riccamente ricamata, su cui sono raffigurate scene mitologiche, frammenti di ceramica fina d’importazione da vari centri greci, numerosi vasi protocorinzi, tra cui uno splendido Aryballos, bronzetti di guerriero e fanciulla, una lamina bronzea da affissione del VI sec. a.C. recante la dedica ex voto di un’edicola ad Atena da parte di “Kleombrotos figlio di Dexilawos” vincitore ad Olimpia, come recita il testo.
Nella necropoli di località Macchiabate sono emersi corredi funerari di rara bellezza, un gran numero di oggetti di bronzo di ornamento personale indossati dai defunti, ed addirittura una Coppa Fenicia in bronzo della prima metà del VIII secolo a.C. che potrebbe testimoniare i contatti tra quelle genti, o forse portata in loco dai Greci.
Tutto il ricco materiale rinvenuto nell’area archeologica di Francavilla Marittima è oggi esposta nel Museo Archeologico della Sibaritide, tra cui segnaliamo ancora una splendida armatura in bronzo composta da elmo con paraguance e corazza anatomica bivalve del VI secolo a.C. La brusca interruzione della vita nel villaggio in località Timpone della Motta e la distruzione dello stesso intorno al 730 a.C. è quanto induce a credere che l’arrivo dei coloni greci fondatori di Sybaris abbia comportato la riduzione dei locali in stato di servitù.
Del resto rivelatrice in tal senso risulta l’edificazione di un tempio ad Atena sui resti del distrutto villaggio del Timpone della Motta. Tale santuario di Atena è il principale testimone della presenza greca nella zona di epoca arcaica.
Sito Archeologico di Monasterace Marina
L’identificazione dell’antica colonia di Kaulon con l’area compresa tra Punta Stilo e l’abitato di Monasterace Marina, si deve all’ archeologo Paolo Orsi che nel 1890 rinvenne in prossimità della spiaggia, i resti di un monumentale tempio dorico, del quale purtroppo rimane solo il basamento in blocchi di arenaria.
Oggi l’area archeologica di Monasterace Marina, ruota attorno al grande tempio dorico. Il sito archeologico ingloba anche alcune zone immediatamente fuori il circuito murario dello stesso, situate in località sostanzialmente attigue.
Tra i siti archeologici più interessanti della Calabria, per le vicessitudini storiche e per la posizione di intermezzo tra le antiche e rivali colonie di Kroton e Lokroi, quello di Monasterace si estende oltre il tempio dorico.
Infatti a 200 metri a sud-ovest rispetto del circuito murario, sorgeva il santuario della Passoliera, di cui Paolo orsi rinvenne solo alcune terrecotte architettoniche pertinenti a diverse fasi comprese tra il VI ed il V secolo a.C. Da quest’area però provengono anche alcuni frammenti ceramici del VIII secolo a.C. che confermerebbero la cronologia della fondazione dell’antica Kaulon.
Molto più consistenti invece i resti del grande tempio dorico del V secolo a.C. il cui basamento in arenaria è ben conservato. L’edificio, lungo 41 metri per 18,20 di larghezza, con peroptero in antis (6 x 14 colonne), era provvisto di una cella con pronao, opistodomo e scale di accesso al tetto. La copertura era di tegole in marmo di Paros. Intorno si vedono i resti di una gradinata per gli altari e del muro del temenos.
Delle mura, provviste di torri a base rettangolare e porte, sono visibili ampi settori relativi a quattro distinte fasi evolutive che coprono un arco cronologico che va dal VII al III a.C. Nell’area archeoogica di Monasterace Marina, sono evidenti resti dell’abitato di Kaulon, che aveva impianto ortogonale con le plateie disposte parallelamente alla linea di costa.
Tra le abitazioni dell’area archeologica si segnala cosiddetta Casa del drago, scoperta nel 1960 e munita di uno splendido mosaico policromo figurato con mostro marino che ne decorava un ambiente. Il mosaico è ora esposto presso il Museo Archeologico di Reggio Calabria. Nei dintorni dell’area archeologica, in contrada Fontanelle di Monasterace Marina, sono visibili gli avanzi di una villa romana del I secolo a.C.
Sito Archeologico di Punta Alice
Sul promontorio di Punta Alice, località in agro del comune di Cirò Marina, sono stati rinvenuti nel 1924 i resti di un grande tempio dorico dedicato ad Apollo Aleo, dall’eroe tessalo Filottete, che secondo leggenda, ivi consacrò le sue frecce ad Eracle dopo la vittoriosa guerra di Troia.
Gli scavi di Punta Alice si concentrano dunque sul Tempio di Apollo, intorno al quale ruotava l’intera area sacra, di probabile origine precoloniale. Distante poco più di 20 km da Crotone, l’area archeologica di Punta Alice potrebbe rappresentare un’area sacra precoloniale, inglobata dai greci in epoca arcaica e dedicata ad Apollo Aleo.
L’area archeologica di Punta Alice dunque è interessata dal santuario dedicato ad Apollo Aleo dall’eroe tessalo Filottete, che qui consacrò le frecce donategli da Eracle. In origine il tempio del VI secolo a.C. era costituito da una cella (naos) fortemente allungata, lunga 27 metri e larga quasi 8. La cella era completamente aperta sul lato orientale e divisa in due navate da un colonnato, di cui restano le basi lapidee.
La struttura, rimase in uso fino alla fine del IV secolo a.C. momento in cui si pone la trasformazione, ad opera dei Bretti, del tempio in un periptero dorico di maggiori dimensioni (46×19), completamente in pietra, circondato da otto colonne sui lati brevi e diciannove su quelli lunghi. La prima cella arcaica fu inglobata nel nuovo edificio, mentre il colonnato fu raddoppiato sul lato orientale.
Tra i materiali rinvenuti nell’area archeologica di Punta Alice emergono, in gran parte offerte votive del periodo arcaico al Tempio di Apollo, le parti marmoree dell’Acrolito di Apollo, anch’esse di epoca arcaica, testa, piedi e mano sinistra, esposte al Museo Archeologico di Reggio Calabria.
Alla fase brettia del santuario, fine IV secolo a.C. risalgono i frammenti di terrecotte architettoniche, capitelli dorici, rocchi di colonne e frammenti di architravi, questi conservati invece nel vicino Museo Archeologico di Crotone.
L’area archeologica è interessata anche dal rinvenimento, sempre in prossimità del Tempio di Apollo, di alcuni ampi edifici riferibili anch’essi al periodo brettio, non indagati completamente e che si suppone possano rifarsi a strutture dedicate ad accogliere i pellegrini, come avveniva per il vicino e ben più famoso Santuario di Hera Lacinia, in prossimità di Crotone.
Fonte: calabriatour